5 aprile 2012

La morte in diretta nel tempio del dio pallone

Il nascere e il morire portano sempre con sé emozioni, passioni, gioie e sofferenze. E non potrebbe essere diversamente, dato che sono parte del grande mistero della vita e ne esaltano il gusto. Alla luce di come tutti noi ci siamo sentiti coinvolti nella tragica vicenda del calciatore del Livorno, Piermario Morosini, una riflessione andrebbe fatta sul modo in cui il mondo sportivo affronta questi temi. La morte in diretta nello stadio di Pescara è stata fagocitata dalla grande pressione mediatica, dalla caccia alla causa di morte, dal sospetto di inadempienze mediche, dal ripetersi di riti collettivi di memoria e di compassione.
Il nascere e il morire portano sempre con sé emozioni, passioni, gioie e sofferenze. E non potrebbe essere diversamente, dato che sono parte del grande mistero della vita e ne esaltano il gusto. Alla luce di come tutti noi ci siamo sentiti coinvolti nella tragica vicenda del calciatore del Livorno, Piermario Morosini, una riflessione andrebbe fatta sul modo in cui il mondo sportivo affronta questi temi. La morte in diretta nello stadio di Pescara è stata fagocitata dalla grande pressione mediatica, dalla caccia alla causa di morte, dal sospetto di inadempienze mediche, dal ripetersi di riti collettivi di memoria e di compassione.

Solamente dopo tre giorni di continui replay televisivi delle immagini dell'accaduto, la fidanzata, la famiglia e gli amici del giocatore hanno ottenuto l'interruzione della trasmissione di immagini tanto crudeli. Se molto è stato il clamore sul "fatto", poche sono state le riflessioni sul morire a 26 anni. Al mondo sportivo, non penso vadano rivolte accuse. Ci si è chiesti: era quella una morte evitabile? Chi può dirlo? Nessuno infatti conosce l'ora della propria morte! Piuttosto va riconosciuto che lo sport ha offerto a Piermario, insieme alla carriera, la possibilità di continui controlli ed esami clinici, una presenza costante del medico sportivo a tutti gli allenamenti, l'assistenza di due medici con defibrillatore al momento del malore fatale. Una possibilità che non è data a tutti, ma non è bastata.

Si può morire comunque d'improvviso, in ogni caso. La morte rende tutti eguali, ad ogni età ed in ogni condizione. Ben lo sapevano gli atleti-guerrieri dell'età arcaica: nel XXII libro dell'Iliade Omero scrive che giochi atletici vennero organizzati da Achille per il rito funebre dell'inseparabile amico Patroclo. Se da un lato era un modo per rendere onore all'amico morto, dall'altro era un modo per prolungarne simbolicamente la presenza nella comunità dei guerrieri, esprimendo anche l'idea che un defunto apprezzasse la continuità con quanto aveva fatto in vita. Dunque, mentre in questi giorni il mondo sportivo si è fermato smarrito di fronte alla morte, nell'antichità era lo sport ad onorare la morte, a conferirle un senso, un rispetto, una dignità. La morte era compresa come un normale fatto di vita. Molto più onore andava reso a chi aveva ben speso la propria vita.

Nel tempio del dio pallone, dall'antichità fino ad oggi, l'ignoranza dei vivi spaventa più della morte dei giusti. Spaventa chi smette di vivere perché chi si arrende di fronte alle difficoltà. Se un senso deve essere dato comunque alla morte di Piermario, può essere anche questo: in suo nome continuare a vivere, continuare a correre, continuare ad amare lo sport. Alla famiglia e agli amici di Piermario vanno tutta la nostra preghiera e solidarietà umana. Che il Signore doni soprattutto a lui un Paradiso in cui vivere felice senza le molte sofferenze che lo hanno colpito qui in terra.

 


L'angolo del Presidente

La morte in diretta nel tempio del dio pallone

Massimo Achini

Presidente Nazionale